La vita nel castello: le armi di offesa e di difesa

Valle del Serchio. Più vicino a te

Le mura dei castelli sarebbero state inefficaci se non fossero state vigilate e difese da uomini armati fino ai denti. Le cortine erano sorvegliate dalle sentinelle che percorrevano il cammino di ronda, pronte a dare l’allarme in caso di necessità.
In primo luogo, infatti, nei castelli c’erano le difese passive: siepi, muri, steccaie, fossati e battifolli ostacolavano l’avanzata del nemico, consentendo agli uomini arroccati di armarsi. Nei dintorni del castello venivano sparsi chiodi a quattro punte, definiti “triboli”, che si conficcavano nei piedi di fanti e cavalli, creando dolore e terribili infezioni che portavano alla morte, essendo preventivamente cosparsi di letame.
Dagli inventari delle fortificazioni è facile fare un quadro dell’equipaggiamento militare. Le armi più diffuse erano quelle che consentivano di colpire a distanza, come archi e balestre dotate di massicci verrettoni. Queste, malgrado la gittata minore rispetto agli archi, che potevano contare sul tiro parabolico, risultavano più pericolose. Furono, quindi, costruite in molte dimensioni differenti, dalla “manesca”, che poteva essere tenuta con una mano, a quella da treppiede, fino alle devastanti baliste capaci di scagliare veri e propri giavellotti.
Furono ideati ingegnosi marchingegni per spezzare la linea di difesa: le catapulte e i trabucchi lanciavano sassi a lunga distanza, gli arieti coperti sfondavano portoni, coi ponti mobili si oltrepassavano i fossati e le torri di legno montate su ruote, consentivano di valicare le cortine.
Oltre le mura si combatteva con spade, pugnali, daghe, asce, mazzapicchi e mazzafrusti, lance e ronconi. L’unica difesa era quella delle armature, di pelle, cuoio o metallo, e degli scudi. La foggia delle armature variava in base alle necessità di cavalleria e fanteria, potevano essere “leggere”, meno corazzate e agevoli nel movimento, o “pesanti”.
Molto cambiò con la polvere da sparo: sulle cortine comparvero i moschetti, capaci di scagliare palle di piombo veloci e mortali, mentre sulle torri comparvero le artiglierie, come le bombarde, poi veri e propri cannoni di grosso calibro. Anche le armi d’attacco mutarono e così sagri, falconi, falconetti, colubrine e cannoni vennero utilizzati proficuamente adattando le pesanti bombarde in modo tale che potessero essere trasportate nelle campagne di guerra.
Nei trattati militari di XVI e XVII secolo, non mancano le immagini di proiettili speciali inventati per causare maggior scompiglio fra le file nemiche: sfere cave colme di pezzi di metallo furono le antenate delle granate, ma non mancò il globo ricolmo di esplosivo, che prendeva fuoco detonando fragorosamente in mezzo ai soldati avversari. Per via dello spirito indomito e battagliero delle genti garfagnine, fu proprio la sfera fiammata l’emblema araldico scelto dal Duca d’Este per simboleggiare la Provincia di Garfagnana.