L’Alimentazione nel Medioevo. A tavola tra il XIV-XV secolo

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Le abitudini alimentari dell’epoca sono deducibili da notizie nei documenti più disparati, come stralci di lettere, note, inventari e opere letterarie del XIV e XV secolo. Sebbene conosciamo maggiormente la cucina dei signori rispetto a quella del popolo, possiamo affermare con discreta sicurezza che la cucina medievale era caratterizzata da una grande varietà di alimenti e dal rigoroso rispetto della loro stagionalità.
Il pane, una pietanza assolutamente diversa da quella conosciuta oggi, rappresentava la principale fonte di sostentamento per le classi più povere, alle quali era destinato quasi esclusivamente quello scuro (a bassa percentuale di grano), tanto che la sua colorazione divenne un indice di differenziazione sociale. Veniva cotto su “testelli” (teglie piatte in terracotta) che gli davano un aspetto simile a focacce.
Alimenti base erano i cereali come la segale, una varietà di farro chiamata “spelta”, l’orzo, il grano saraceno, l’avena, il farro, il miglio e il sorgo con i quali si preparavano zuppe, polente e farinate. Nei periodi di carestia e nelle zone di montagna, i cereali venivano sostituiti con alimenti più modesti e di maggiore reperibilità come le castagne, le ghiande e i legumi secchi (ceci, fave, cicerchie e piselli).
La frutta era molto diffusa e veniva impiegata nella preparazione di molte ricette. Mele, pere, prugne e frutti di bosco erano consumati a fine pasto sotto forma di composta o come accompagnamento alle carni e, assieme al miele, avevano un ruolo considerevole nella dolcificazione degli alimenti.
 Tra le carni, quella di maiale era tra le più gradite e si otteneva da animali macellati in età adulta e molto simili a cinghiali, con il manto ricoperto da setole ispide di colore bruno-rosso e robusti canini. Diffuso era, inoltre, l’allevamento del pollame e dei volatili da cortile, mentre nelle aree montane e collinari, la cacciagione contribuiva ad arricchire la tavola degli uomini medievali con fagiani, lepri, cinghiali e daini.
Si beveva acqua, ma diffuso era anche il vino, molto più denso e aspro di quello attuale, motivo per cui veniva in genere annacquato e miscelato al miele. Fuori dai pasti questa bevanda veniva spesso sostituita dal più “modesto” aceto, utilizzato anche per la purificazione dell’acqua.
I frequenti e lunghi periodi di carestia che caratterizzarono il Medioevo costrinsero la popolazione a dover fare i conti con la fame, quindi ad affinare i metodi di conservazione degli alimenti. Quello maggiormente diffuso era la salagione (o salificazione), che garantiva la conservazione anche per lunghi periodi. Anche per questo il sale era una delle merci più importanti in assoluto, utilizzato come oggetto di scambio e regolato da una legislazione specifica. Grazie ai percorsi che collegavano le montagne della Valle del Serchio alle coste toscane e liguri, il sale giungeva in tutto il territorio rappresentando una risorsa economica fondamentale.
L’alimentazione del signore, fosse esso un nobile di antica stirpe o un ricco mercante, come quella del castellano, era generalmente più ricca di proteine animali, derivanti per lo più dalla caccia, e i tagli di carne a lui destinati erano solitamente i migliori. Le spezie e le erbe aromatiche avevano un ruolo fondamentale perché consentivano di mascherare sapori non particolarmente appetibili, ma al tempo stesso, essendo piuttosto costose, dimostravano la potenza economica di chi ne poteva fare utilizzo.
Il popolo si nutriva per lo più di ortaggi e leguminose, normalmente cucinati come minestra; quando “compariva” qualche pezzo di carne sul desco delle persone di più umili natali, in genere si trattava dei tagli meno pregiati dell’animale come la testa, le frattaglie, la coda o le zampe.
Questo cibo povero generalmente era destinato anche alle truppe della guarnigione, ma quando gli eserciti si trovavano in marcia l’approvvigionamento delle materie prime alimentari era particolarmente difficoltoso: qualora non ci si dedicasse al saccheggio o si fosse predisposta una catena di rifornimento, era infatti necessario nutrire gli armati con alimenti non facilmente deperibili, come il pane di segale, spesso raffermo o cotto più volte per disidratarlo ulteriormente, consumato o ammollandolo in acqua o, nelle migliori delle ipotesi, in zuppe di orzo o di farro.